Non esiste conflitto senza diversità, ma la diversità è anche il fattore che permette la comunicazione.
Come potremmo comunicare un pensiero se fossimo convinti che l’altro abbia lo stesso identico pensiero, al massimo avremo la sensazione di condividere ma non il bisogno di comunicarlo. Lo stesso meccanismo vale per le informazioni, le idee, i dubbi e le opinioni.
Credere che sia necessario abbattere le diversità per eliminare il conflitto è un paradosso in quando in realtà è proprio dalla diversità che scaturisce l’incontro con l’altro, semplicemente il conflitto nasce dalla incapacità di comprendere, accettare e conciliare le diversità.
Tale incapacità dipende spesso dalla mancanza di una sana cultura della comunicazione e da un’insufficiente consapevolezza di quanto dentro di noi si muova emotivamente, in un contesto sociale dove è sostenuta maggiormente la cultura della competizione a scapito della cooperazione.
La consapevolezza di quanto dentro di noi si muove a livello emotivo, i nostri tasti dolenti e le nostre ombre incidono sul livello di conflittualità che contribuiamo a costruire, in ragione di ciò sarebbe utile ricordare che ognuno di noi ha una responsabilità piena e diretta su questi fattori ed è doveroso farne regolare manutenzione al fine di poterne gestire le manifestazioni.
Il conflitto si può vivere secondo diverse prospettive, come un evento da evitare il più possibile, che se scoppia nonostante i tentativi di evitarlo andrà gestito e che rappresenta un espressione di malfunzionamento familiare, oppure come un evento significativo di per sé, da vivere quindi come evento fisiologico nelle famiglie.
Il potenziale distruttivo di un conflitto si potenzia enormemente quando il terreno di guerra è sul valore della persona, se una coppia litiga attaccando il legame e la considerazione del partner, i protagonisti diventano oggetto della critica, scivolando in svalutazione e mancanza di rispetto dell’altro.
Per proteggersi dagli aspetti negativi del conflitto familiare si potrebbe creare una zona neutra, uno spazio sicuro e invalicabile dove si seguono alcune regole precostituite quali ad esempio: bandire le critiche sulla persona, vietati gli insulti e le forme di sarcasmo in quanto comunicano disprezzo e rompono la comunicazione.
Occorre ricordare che gli effetti dannosi del conflitto non dipendono dalla natura del conflitto ma dalla qualità della relazione entro cui hanno luogo. Infatti non è di certo l’assenza del conflitto a determinare il benessere, anzi la sua assenza solitamente rivela un segnale di distanza relazionale, dovuta magari a paura reciproca, rancore nascosto o immaturità.
Se si considera pericoloso, il conflitto si tenderà a risolverli in fretta senza imparare a gestirli, creando un terreno fertile per alimentare nuovi e più aspri conflitti. Viceversa ogni esito positivo favorisce l’accrescimento di tutti della capacità di far fronte alle difficoltà della vita, aumentando l’accettazione e la comprensione reciproca, divenendo più competenti nella comunicazione.
Questo tipo di competenza si apprende solamente attraverso esperienze positive di riuscita, garantiscono il senso di fiducia in noi stessi della capacità di poter comunicare efficacemente le nostre diversità, con l’apertura verso gli altri che ci permette di raggiungerli fino ad arrivare a conquistarsi sentimenti di intimità e autostima.
I contesti familiari in cui nascono maggiormente le conflittualità si ritrovano nelle nuove forme di famiglie, che prevedono compiti nuovi per i componenti della famiglia, come ad esempio il compagno della mamma che deve fare il vice papà, o la compagna di papà che svolge funzioni di vice mamma, i nonni che a volte devono sopperire all’assenza di uno o entrambi i genitori ecc.. oppure ad esempio nell’inversione di ruoli riguardo all’accudimento dove la madre si occupa del sostentamento economico e il padre dell’accudimento e della casa.
Un altro contesto dove scaturiscono sovente conflitti familiari riguarda i rapporti interpersonali tra i componenti stessi, in quanto la famiglia, nella nostra società, ha vissuto un mutamento sostanziale sia nella forma che nella sostanza, passando da famiglia basata su ruoli definiti e regolamentati a una famiglia basata sugli affetti, dove la relazione è il canale principale che avvia gli scambi tra i componenti, e come tale è molto più complessa e soggettiva che una regola prestabilita valida sempre e per tutti.
La famiglia che basa la relazione sull’affetto si riduce l’asimmetria nei ruoli, dove il legame è più importante del mantenere un ruolo riconosciuto, questo però ha un prezzo alto in quanto prevede alte competenze di comunicazione in quanto le decisioni sono sempre frutto di una negoziazione.
In aggiunta a questi contesti si delinea un ulteriore terreno fertile di conflitto nella tendenza della famiglia alla privatizzazione degli affetti, con un scivolamento in uno scollamento dalla comunità come sostegno e contenitore, dove la famiglia vive tendenzialmente isolata nelle proprie difficoltà.
I conflitti purtroppo generano sensazioni di insicurezza e impotenza, sensazioni che sono maggiormente dannose in famiglia in presenza di figli, giovani persone che ancora non hanno gli strumenti per relativizzare il conflitto e continuare nella crescita al sicuro da opinioni negative su se stessi.
Il ruolo della famiglia invece, è diametralmente opposto, dovrebbe offrire riparo, senso di protezione e di cura, e assicurare una crescita emotivamente sana dei figli. In ragione di ciò, ora più che nel passato è utile imparare a litigare, acquisendone le competenze necessarie, e accettando che più che una dote è una capacità, quindi occorre esercitarsi e accettare il fatto che ci sono stati e ci saranno errori e ferite, ma che il raggiungimento di un obiettivo di divenire bravi nella gestione del conflitto vale sicuramente lo sforzo.
Scrivi commento